Museum Home Past Exhibitions La Chimera di Arezzo

Los Angeles, Villa Getty, 16 luglio 2009–8 febbraio 2010

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La Chimaera di Arezzo
La Chimera di Arezzo—dettaglio, opera etrusca (V–IV sec.a.C.), Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana—Museo Archeologico Nazionale, Firenze. Foto di Ferdinando Guerrini
 

La Chimera di Arezzo esplora, attraverso cinque secoli di arte classica, il mito di Bellerofonte e della Chimera—leggendario mostro dal respiro di fuoco, con il corpo trimembre di leone, capra e serpente. L'esposizione presenta la Chimera di Arezzo, splendida scultura in bronzo di fattura etrusca, in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze. La mostra racconta la vita e la fortuna di un'icona dell'arte etrusca, attraverso una selezione di ceramiche, monete, gioielli ed altri reperti antichi, medievali e moderni.

Approfondisci i temi della mostra:

Mitologia | Iconografia | Religione | Scoperta | Fortuna dell'opera

Mitologia

Anfora lucana a figure rosse  / Gruppo di Pisticci-Amykos
Anfora lucana a figure rosse (di forma Panatenaica)—dettaglio, attribuita al Gruppo di Pisticci-Amykos, ca. 420 a.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
 
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Inizialmente narrata nelle opere di Omero e di Esiodo (VIII sec. a.C.), la storia di Bellerofonte e della Chimera si protrae nel tempo come un'allegoria del primato della cultura sulla natura, dello spirito sulla materia, del diritto sul potere.

Il giovane guerriero Bellerofonte, fuggito dalla nativa Corinto dopo aver ucciso il tiranno locale, cercò rifugio presso la corte del re Preto, nella vicina Tirinto, dove la regina Stenebea si invaghì di lui, venendo però rifiutata.

Assetata di vendetta, la donna istigò Preto ad uccidere Bellerofonte, raccontandogli di essere stata sedotta da costui.

Piuttosto che uccidere un ospite, Preto inviò Bellerofonte in Licia (regione dell'odierna Turchia) alla corte del re Iobate, con l'incarico di portargli una tavoletta scritta e sigillata, che in realtà conteneva la richiesta di uccidere il suo portatore. Quest'anfora ritrae Bellerofonte con la tavoletta in mano, mentre Preto si accomiata da lui. Stenebea guarda sospettosa da sinistra e Pegaso, il famoso cavallo alato di Bellerofonte, si trova sulla destra.

Cratere a calice falisco a figure rosse
Cratere a calice falisco a figure rosse, ca. 370 a.C. Museo Archeologico Nazionale di Villa Giulia, Roma. Foto Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale
 

Bellerofonte raggiunse la Licia, dove il re Iobate, per le medesime leggi greche dell'ospitalità, non ebbe il coraggio di uccidere il giovane guerriero. Tuttavia, il re chiese a Bellerofonte di compiere una missione impossibile e mortale: uccidere la Chimera, il potente mostro che sputava fiamme, dalla testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente, che stava devastando le campagne della Licia.

Protetto dalla dea Atena e per mezzo del mitico cavallo alato Pegaso, Bellerofonte riuscì nell'impresa di uccidere la Chimera ed in virtù del suo successo ricevette il regno di Iobate e la mano di sua figlia Filonoe. In seguito, l'orgoglio si impossessò di Bellerofonte, che cercò addirittura di raggiungere l'Olimpo, in groppa a Pegaso, dal quale fu però disarcionato.

Il vaso raffigura Bellerofonte sul suo cavallo alato, appena fuori dalla portata delle fiamme della Chimera, mentre dirige la sua lancia verso il mostro, posizionato più in basso. Il vaso, dai vivaci colori, è un tipico esempio dell'arte ceramica dei Falisci, popolazione confinante con gli Etruschi.

Iconografia

Olla falisca
Olla falisca, 700–650 a.C. Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana—Museo Archeologico Nazionale, Firenze. Foto di Ferdinando Guerrini
 
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La scena della vittoria di Bellerofonte sulla Chimera è stata rappresentata nell'antica arte italica più di ogni altra impresa eroica.

Il vaso restituisce una delle più antiche rappresentazioni della Chimera. Brandendo una lancia, un guerriero con elmo insegue una bestia multiforme, con il pelame arricciato e la lingua sporgente.

Data l'assenza di Pegaso, non è chiaro se questa sia un'illustrazione del mito di Bellerofonte o una scena generica di caccia a bestie esotiche ed immaginarie. Il leone (al centro) e la sfinge (a sinistra)—una creatura ibrida con corpo di animale, ali e testa umana—sarebbero dovuti risultare ugualmente sconosciuti agli artigiani Falisci che realizzarono il vaso.

Aryballos< corinzio a figure nere / Gruppo Chigi
Aryballos corinzio a figure nere—dettaglio, attribuito al Gruppo Chigi, ca. 650 a.C. Museum of Fine Arts, Boston. Foto © 2009 Museum of Fine Arts, Boston
 
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Rappresentazioni più certe di Bellerofonte e della Chimera iniziarono ad apparire sui vasi greci nei primi anni del VII secolo a.C. Questi ed altri manufatti diffusero l'immagine della Chimera nel mondo antico.

I vasai di Corinto, città nativa di Bellerofonte, esportarono piccoli contenitori di essenze profumate, simili al vaso di Bellerofonte, attraverso il Mediterraneo. Qui l'eroe corinzio affronta la Chimera, il mostro dalla cui testa di leone (fauci e narici) escono le fiamme. Tra i due, una minuscola lucertola sta per diventare preda di un rapace, in analogia a quanto la Chimera subira a breve da Bellerofonte. In basso, una lepre cerca invano di fuggire dall'accerchiamento di alcuni cani da caccia.

Una coppa da vino, realizzata a Sparta intorno al 565 a.C., rappresenta un'immagine caratteristica della scena: la Chimera si difende dagli zoccoli di Pegaso mentre Bellerofonte si accovaccia, conficcando la sua spada nella pancia del mostro dal pelo arruffato.

Religione

Anello a scarabeo etrusco
Anello a scarabeo etrusco, ca. 400 a.C. The Michael C. Carlos Museum, Emory University. Foto su gentile concessione di Christie's
 
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Per gli Etruschi e le altre popolazioni italiche, l'uccisione della Chimera da parte di Bellerofonte sembra aver assunto un significato religioso specifico, configurandosi come una sorta di sacrificio simbolico che garantiva il felice esito del viaggio dell'eroe nell'Aldilà.

Rappresentazioni del mito sono frequenti su gemme, anelli ed in altri oggetti deposti nelle tombe, come nell'anello d'oro ritrovato quasi intatto in Italia Meridionale e probabilmente commissionato per adornare il corpo di un defunto. Ciò farebbe pensare che Bellerofonte venisse considerato come un benefattore o un "santo patrono", capace di viaggiare tra i mondi e di intercedere per conto della morte.

L'anello etrusco qui presentato raffigura Bellerofonte e la Chimera incisi su una corniola dal colore rosso-sangue, una gemma che veniva associata alla guarigione ed al coraggio e capace di moltiplicare l'efficacia dello scarabeo in quanto talismano protettivo.

Anfora etrusca a figure nere / Gruppo La Tolfa
Anfora etrusca a collo distinto, a figure nere—dettaglio, attribuita al Gruppo La Tolfa, ca. 525 a.C. Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig, Basilea
 
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saperne di piu Vedi immagine della Chimera raffigurata sulla parte posteriore del vaso

Gli artisti Etruschi rielaborarono il mito di Bellerofonte e della Chimera fondendo la tradizione greca con la loro visione del significato della Chimera. Nella cultura etrusca, i mostri erano associati ai ciclo della vita, morte e rinascita ed erano talvolta rappresentati come madri nutrici.

Qui una materna Chimera allatta il suo piccolo felino, cui ancora non sono spuntate le teste di altri animali. Che tipo di creatura sarà il suo cucciolo? Un possibile destino è raffigurato sull'altro lato del vaso: un feroce maschio di Chimera è rappresentato con due appendici, una di capra ed una di serpente (con tanto di testa all'estremità della coda), che sputano fuoco.

La Chimera di Arezzo
La Chimera di Arezzo, opera etrusca (V–IV sec.a.C.). Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana—Museo Archeologico Nazionale, Firenze. Foto di Ferdinando Guerrini
 
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saperne di piu Vedi immagine dell'iscrizione sulla zampa anteriore

La Chimera di Arezzo—unica scultura di grandi dimensioni sopravvissuta che rappresenti la lotta tra Bellerofonte e la Chimera—ha una finalità religiosa. L'iscrizione "TINSCVIL" (per Tinia), incisa in lingua etrusca, da destra verso sinistra, sulla zampa anteriore destra del mostro, dimostra infatti che la statua così riccamente forgiata è un dono votivo a Tinia, principale divinità del Pantheon etrusco. L'opera fu probabilmente commissionata da un gruppo nobiliare o da una comunità facoltosa e fu eretta in un santuario religioso vicino all'antica città etrusca di Arezzo, che si trova circa cinquanta miglia a sud-est di Firenze.

Realizzata colando del bronzo su un modello di cera, la Chimera di Arezzo rappresenta un esempio eccezionale dell'abilità etrusca nel lavorare i metalli. La sua postura difensiva suggerisce che originariamente facesse parte di un grande gruppo scultoreo che includeva anche Bellerofonte e Pegaso.

Etruscan statuette of Tinia
Statuetta etrusca di Tinia, 300–200 a.C. Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana—Museo Archeologico Nazionale, Firenze. Foto di Ferdinando Guerrini
 
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saperne di piu Vedi immagine della statua di Tinia dalla collezione del Getty Museum

La Chimera di Arezzo è stata rinvenuta insieme ad una serie di piccoli bronzi votivi che confermano il culto del dio Tinia.

La statuetta, proviente da Arezzo, mostra Tinia che indossa una corona tubolare ed il mantello. Il dio è raffigurato nell'atto di porgere un phiale, oggetto votivo che serviva allo spargimento rituale delle libazioni, un atto solitamente eseguito dai fedeli durante le cerimonie sacre. Nella mano sinistra reggeva probabilmente una folgore, simbolo della sua autorità come dispensatore della giustizia divina.

Una statuetta della Chimera, in scala ridotta, serviva probabilmente come dedica religiosa. La piccola Chimera protende la doppia testa di leone e di capra, ciascuna rivolta con sguardo ostile.

Scoperta

Cosmvs Medices Florentiae DVX II
Cosmvs Medices Florentiae Dux II, Nicolò della Casa (incisore) da un disegno di Baccio Bandinelli, 1544. Research Library, The Getty Research Institute
 
 
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La Chimera fu scoperta il 15 novembre 1553, da alcuni operai che stavano costruendo le fortificazioni vicino a porta San Lorentino, ad Arezzo. Il Granduca Cosimo I de' Medici chiese che la scultura ed i bronzi che erano stati trovati insieme ad essa fossero portati a Firenze, nella sede di Palazzo Vecchio. Come gli altri membri della famiglia de Medici, Cosimo era un collezionista appassionato di antichità locali ed incoraggiava la credenza che egli stesso fosse discendente di una famiglia reale etrusca.

A causa dello stato frammentario in cui si trovava la scultura al momento del rinvenimento, si credette inizialmente che rappresentasse un leone. Gli studiosi che si trovavano alla corte di Cosimo giunsero tuttavia rapidamente ad una corretta interpretazione della statua, avendo osservato monete greche e romane della collezione granducale—come lo statere d'argento—che riportavano l'immagine della Chimera. Col tempo, i restauratori risaldarono le zampe anteriore e posteriore sinistre della statua.

Cosimo passava intere serate in compagnia dell'orefice fiorentino Benvenuto Cellini, a pulire e riparare i suoi preziosi trofei con attrezzi da gioielliere. Cosimo, inoltre, considerava la splendida opera d'arte un simbolo del suo dominio "superiore a tutte le chimere", con riferimento a tutti gli avversari da lui sconfitti.

La scultura rimase in Palazzo Vecchio fino al 1718, dopodichè fu trasferita nella Galleria degli Uffizi. Dal 1870 la Chimera si trova, come sede permanente, nel Palazzo della Crocetta, sede del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

Incisione della Chimera di Arezzo / Theodor Verkruys
La Chimera di Arezzo, Theodor Verkruys, incisione su rame in Th. Dempster, De Etruria regali libri septem, Firenze, 1723–1724. Research Library, The Getty Research Institute
 
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La scoperta della Chimera di Arezzo gettò nuova luce sulle testimonianze relative alla scrittura ed alle credenze religiose degli Etruschi, che stimolarono la curiosità degli storici rinascimentali. Uno schizzo dell'iscrizione sulla zampa anteriore della Chimera, risalente al 1582, cui si affianca sulla pagina opposta una ricostruzione dell'alfabeto è il primo disegno documentato della scultura.

L'incisione della Chimera di Arezzo che qui si vede fu pubblicata nei primi anni del 1700, nel primo studio dettagliato sulla civiltà etrusca. L'autore, Thomas Dempster, lodando in maniera del tutto stravagante le invenzioni e la civiltà particolarmente avanzata degli Etruschi ed elevandoli al di sopra dei Romani, loro conquistatori, intendeva glorificare il suo potente patrono fiorentino.

In questa illustrazione la Chimera è ancora priva della coda: essa venne restaurata nel 1785, quando lo scultore pistoiese Francesco Carradori (o il suo maestro, Innocenzo Spinazzi) rimodellò il pezzo, posizionando erroneamente il serpente nell'atto di mordere un corno della capra.

Fortuna dell'opera

Saint George and the Dragon / after the Egerton Master
S. Giorgio e il drago—dettaglio, seguace del Maestro di Egerton, ca. 1410. The J. Paul Getty Museum
 
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Dopo essere virtualmente scomparse per diversi secoli, le immagini di Bellerofonte e della Chimera acquistarono nuova importanza in epoca romana (200 circa d.C.), quando il mito divenne un soggetto popolare illustrato nei pavimenti a mosaico.

In epoca paleocristiana (300–700 d.C.), la Chimera fu interpretata come manifestazione del demonio. Le immagini cristiane di San Giorgio, in groppa al cavallo impennato mentre trafigge il drago con la lancia, ebbero probabilmente origine proprio dall'iconografia pagana di Bellerofonte che uccide la Chimera. In questa immagine, tratta da un manoscritto del XV secolo, il mantello svolazzante del santo ricorda le ali di Pegaso, ma il mostro è più simile ad un rettile che ad un felino.

Come Bellerofonte rappresentava il primato della giustizia umana sul potere, San Giorgio era l'icona del trionfo del bene sul male.

Mentre Bellerofonte vive ancora nell'iconografia di San Giorgio, la Chimera di Arezzo si afferma come emblema del successo artistico degli Etruschi. La Chimera, uno dei più grandi tesori del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, può essere considerata un ambasciatore ideale per rappresentare la collaborazione fra l'Italia ed il J. Paul Getty Museum.

Vedi anche

Chi erano gli Etruschi?

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Elenco delle opere esposte

Scarica l'elenco delle opere esposte (PDF, 8pp., 69 KB)